Guardarsi attorno


pino

La FOTOGRAFIA,  ovvero scrivere con la luce.

 

Già in America nel 1940, con l’istituzione del dipartimento di Fotografia del MoMA di New York (Museum di Arte Moderna), sembrava sancirsi l’ingresso definitivo della stessa nell’ambito dell’arte contemporanea – eppure ancora oggi si vagheggiano incertezze su ciò.

Io non ho dubbi, la Fotografia è ARTE ed è uno SPIN-OFF della Pittura.  

Tutt’al più,  occorrerà chiedersi: “siamo di fronte ad un artista, un discreto artigiano o uno scribacchino?”

La mia, recente, ma pluriennale fruizione di importanti percorsi “pedagogici” universitari e non, mi induce poi a riflettere sul concetto del bello – in FOTOGRAFIA come altrove.

“BELLO”  – un termine che si adatta alle situazioni, ad un periodo storico, ad una moda, ad un sentimento, a qualcosa che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo  …  è insomma un aggettivo per tutte le tasche e di cui spesso si abusa perché il  NON bello significa – brutto –  e questo è un termine che spesso lasciamo in modo spicciolo alla “Politica”

Dando per scontato che ogni scarafone è bello a mamma sua – a questo punto l’individuazione del “BELLO” non ci può che derivare, di primo acchito e pur sempre in modo soggettivo, parziale e non definitivo, da una miscellanea di pareri più o meno competenti della moltitudine di persone che ci stanno accanto.

Ma siatene certi molti di quelli che gridano al “bello” in realtà non lo pensano e pur tuttavia lo dicono (spesso a me accade) per evitare di intristire il richiedente se non per codardia.

In sostanza il bello è lì dove ciò che in modo più o meno evidente l’osservatore trova e soprattutto apprezza.

Non si sconfessino quindi le regole di composizione e tecnica, peraltro oggetto di appositi seminari e percorsi formativi  …… ma il termine     <<impara l’arte e mettila da parte>>      è sempre attuale – così come è vero l’altro, che     <<i ferri fanno il mastro>>

Già, i FERRI e quindi: non pennelli e colori – martelli e scalpelli  –  chitarre e mandolini  e via dicendo ma intesi stavolta come attrezzatura fotografica.    

L’interrogativo che le MAJOR della fotografia TEMONO che noi ci si ponga è: 

“Ma siamo sicuri che l’attrezzatura migliora l’artista che è in me?”

NO – direbbe subito quella santa donna di mia moglie, ma sarebbe certamente un coro che accoglierebbe i nomi di Henry Cartier Bresson, di Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna  etcc.. etcc… credo che ne sentiremmo delle belle sul fascino seduttivo della pubblicità e la sua obiettività.

Altra domanda – o provocazione se vogliamo – ma stavolta in tema di  Setting Fotografici Esotici.

“Ma siamo sicuri che fotografando in un posto esotico l’artista che è in me emerge?”

Certo è inutile chiederlo alle tante agenzie che dedicano le loro attenzioni a costosi percorsi fotografici  in Lapponia o nelle aree Tropicali, nella speranza che in massa vi partecipino aspiranti Salgado o McCurry

Diciamocelo con franchezza e quindi senza ipocrisia, il volto di un bambino asiatico sofferente, fa più Novità “teatrale”, di un bambino dei bassifondi metropolitani di casa nostra.

Ma mentre il primo, nella stragrande maggioranza dei casi, resterà il ricordo esotico di un viaggio, spettacolarizzazione di una bruciante realtà, quello sotto casa è una narrazione, documento vero, sentimento quotidiano, memoria di un istante in cui l’uomo/artista che è sopito in noi trasmette emozione e coscienza sociale in uno scatto per una fotografia.

Diventa narrazione ricca ed intensa, capace di “scrivere con la luce”  con passione di una Sedia, una Tazzina di caffè, una Strada, una Collina, un Golfo, un Palazzo, uno Sguardo.

Ma tutto ciò – lo sostengo – MA senza generalizzare.

Conosco, stimo e frequento volenterosi e valenti artisti che fanno tramite i loro scatti ricerca e denuncia in zone impervie di questo mondo, così come comprendo, ovviamente, che per fotografare un fiordo od una barriera corallina non puoi certamente farlo andando sulla scogliera amalfitana.

Ed allora che fare per tutti gli altri che sono il 99% dei fotografi, indaffarati e squattrinati? 

Ricerca, analisi, studio delle fenomenologie, ricerca storica e del territorio.

Sia che si tratti delle Salinelle di Paternò o dei vari dissesti idrogeologici in giro o della trascuratezza di  sobborghi e di situazioni sociali che ci riguardano da vicino.

Aiuti gli altri mostrando/scrivendo  – ed in pari tempo conquisti spazi per te.

A proposito, lo sapevate che la Fotografia “sociale”  nacque e si costruì nel 1868 in Gran Bretagna, in pieno Impero Britannico, a Glascow e non in India od in Mozambico né in Malesia od Australia.

IN  CONCLUSIONE     di questa spigolatura fotografica suggerirei:

Riflettiamo e discutiamo tra NOI e di NOI, magari, su quanto sarebbe bello vedere una FOTOGRAFIA che mettesse al centro quello che abbiamo attorno, valorizzandolo ed interrogandoci più su quel che resta da ricercare e dire  – piuttosto che su ciò che si è già fin TROPPE volte, visto e rivisto.

 

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Suggerirei ai più esperti, un’esercitazione fotografica  – semplice ma non facile – proposta ad un mio amico, direttamente da Franco Fontana (e non da un pincopallino) 

    “Fotografa  solo dove c’è il ROSSO  vediamo che succede”      

 

  

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